HOME PAGE | QUESTIONI DI PSICOLOGIA | TUTTI I FILOSOFI | NARRATIVA | DIDATTICA SCUOLA |
Nato ad Aosta nel 1033 da famiglia nobile, dopo la morte della madre, pellegrin�
in vari monasteri della Francia, finch� entr� nel monastero benedettino di Bec
in Normandia. Anselmo fece sorgere la teologia incentrata sullo strumento della
ragione. Tra il 1076 e il 77 scrisse le sue opere pi� importanti: il Monologion
e il Proslogion. Nel 1078 fu eletto abate e contemporaneamente scrisse: il De
grammatica e il De Veritate, il De libertate arbitrei, il De casu diaboli, il
Liber de fide trinitatis, e il De incarnatione verbi. Nominato arcivescovo di
Canterburry, s�impegn� a lungo con gli imperatori di quel periodo sulla lotta
per le investiture, scrisse il Cursus homo, che ultim� in Italia nel 1097. Mor�
il 21 Aprile 1109 mentre stava meditando sull�anima.
Tutto il pensiero d�Anselmo � dominato dall�idea di Dio. E� questo il problema
che sostiene e unifica le sue indagini. Infatti, per lui, altro � parlare
dell�esistenza di Dio, altro � parlare della sua natura. Altro � chiedersi se
una cosa esiste, altro � chiedersi cosa essa sia. Nel Monologion si nota
pienamente questa distinzione, dove formula le prove a posteriori o dagli
effetti alla causa dell�esistenza di Dio. Nel Proslogion, invece formula
l�argomento ontologico vale a dire l�analisi dell�idea di Dio, o meglio ci� che
non dipende dalla natura delle cose.
L'esistenza di Dio
Il Monologion � un insieme di riflessioni sull'essenza divina che conducono ad
una dimostrazione dell'esistenza di Dio. Anselmo parte dal presupposto che il
bene, la verit�, e in genere tutto ci� che e universale, sussiste
indipendentemente dalle cose singole e non soltanto in esse. Vi sono molte cose
buone, sia come mezzi, cio� per la loro utilit�, sia come fini, cio� per la loro
bont� o bellezza intrinseca. Ma tutte sono buone pi� o meno, non assolutamente;
presuppongono dunque un bene asoluto, che sia la loro misura e dal quale esse
traggano il grado di bont� o di verit� che posseggono. Questo sommo bene � Dio.
Allo stesso modo, tutto ci� che � perfetto e in generale tutto ci� che esiste,
esiste per partecipazione ad un Essere unico e sommo. Il sommo bene, il sommo
essere, il sommo grado, tutto ci� che nel mondo ha verit� e valore, coincidono
in Dio.
Il Monologion sviluppa cos� un'argomentazione cosmologica che va dal particolare
all'universale e dall'universale a Dio. Il Proslogion sviluppa invece
un'argomentazione ontologica che muove dal semplice concetto di Dio per giungere
a dimostrare la sua esistenza. Esso � diretto contro la negazione risoluta
dell'esistenza di Dio: contro Io sciocco del XIII Salmo �che disse in cuor suo:
Dio non c'�.
Evidentemente anche il negatore dell'esistenza di Dio deve possedere il concetto
di Dio, essendo impossibile negare la realt� di qualcosa che non si pensa
neppure; la prova che muove dal concetto alla realt� � dunque quella che non pu�
essere in nessun modo negata.
Ora il concetto di Dio � quello di un Essere di cui non si pu� pensare nulla di
maggiore (quo maius cogitari nequit). Anche lo sciocco deve ammettere che
l'essere di cui non si pu� pensare nulla di maggiore sia nell'intelletto, pur se
non c'� in realt�. Altro � infatti essere nell'intelletto, altro nella realt�;
l'immagine che il pittore vuol dipingere non � ancora in realt�, ma � certo nel
suo intelletto.
Ci� posto, la prova di Anselmo � la seguente: �Certamente, ci� di cui non si pu�
pensare nulla di maggiore non pu� essere nel solo intelletto. Giacch� se fosse
nel solo intelletto si potrebbe pensare che fosse anche in realt� e cio� che
fosse maggiore.
Se dunque ci� di cui non si pu� pensare nulla di maggiore � nel solo intelletto,
ci� di cui non si pu� pensare nulla di maggiore �, invece, ci� di cui si pu�
pensare alcunch� di maggiore. Ma certamente questo � impossibile. Dunque non c'�
dubbio che ci� di cui non si pu� pensare nulla di maggiore esiste sia
nell'intelletto sia nella realt�.
L'argomento si fonda su due punti: 1� che ci� che esiste in realt� sia
�maggiore� o pi� perfetto di ci� che esiste solo nell'intelletto; 2� che negare
che ci� di cui non si pu� pensare nulla di maggiore esista in realt�, significa
contraddirsi, perch� significa ammettere nello stesso tempo che si pu� pensare
maggiore, cio� esistente in realt�.
All'obiezione che allora non si vede come sia possibile pensare che Dio non �,
Anselmo risponde che la parola pensare ha due significati: si pu� pensare la
parola che indica la cosa e si pu� pensare la cosa stessa. Nel primo senso si
pu� pensare che Dio non c'�, come si pu� pensare, per esempio, che il fuoco �
acqua: nel secondo modo, non � possibile pensare che Dio non c'�.
All'argomento ontologico il monaco GAUNILONE, del monastero di Marmontier, nel
suo Liber pro insipiente oppose che, in primo luogo, un risoluto negatore
dell'esistenza di Dio comincerebbe col negare di averne perfino il concetto (che
� il punto di partenza dell'argomento ontologico); e in secondo luogo, anche
ammesso che si abbia il concetto di Dio come di un essere perfettissimo, da
questo concetto non pu� dedursi l'esistenza di Dio, pi� che non possa dedursi
dal concetto di un'isola perfettissima la realt� di quest'isola.
Anselmo replic� col Liber apologeticus . � impossibile negare che si possa
pensare Dio: basta, a dimostrare questa possibilit�, la fede stessa di cui
Anselmo e Gaunilone sono dotati; e se si pu� pensare Dio, si deve riconoscerlo
come esistente, essendo impossibile negare l'esistenza a ci� che si pu� pensare
come la maggiore di tutte le cose. Di un'isola fantastica, anche se concepita
perfetta, non pu� dirsi che sia ci� di cui non si pu� pensare nulla di pi�
perfetto. Dalla possibilit� di pensarla non segue la sua realt�, come invece
segue dalla semplice possibilit� di pensare Dio come l'essere pi� perfetto di
tutti.
L'argomento ontologico � stato gi� nella Scolastica a volta a volta criticato e
difeso e questa sua vicenda � continuata nel pensiero moderno. In realt�
l'argomento ontologico non � una prova, ma un principio. Non � una prova perch�
l'esistenza che si pretende dedurre � gi� implicita nella definizione di Dio
come l'essere di cui non si pu� pensare nulla di maggiore e perci� nel semplice
pensiero di Dio: come prova essa � un circolo vizioso. Come principio, essa
esprime l'identit� di possibilit� e realt� nel concetto di Dio. Se si pu�
pensare Dio, si deve pensarlo come esistente: il pensiero di Dio � il pensiero
stesso di questa identit� di possibilit� e di esistenza, identit� che, come
Anselmo dice nel Liber apologeticus, � realizzata dalla fede. La fede consiste
appunto nell'ammettere come necessariamente reale la perfezione possibile:
l'argomento ontologico che deduce da questa perfezione quell'esistenza non �
quindi altro che l'esplicazione della fede nella sua espressione razionale o nel
suo principio. Ancora una volta si tratta della fides quaerens intellectum, del
credo ut intelligam: del processo attraverso il quale l'atto della fede diventa
atto di ragione e l'illuminazione divina, ricerca filosofica.
L'essenza di Dio
Dalle prove stesse che dimostrano l'esistenza di Dio, risulta che Dio solo �
l'assoluto e perfetto essere e che le altre cose quasi non sono o sono solo a
stento. Soggetto al divenire ed al tempo, l'essere delle cose finite comincia e
cessa continuamente e continuamente muta; � perci� un essere approssimativo e
stentato, che non pu� confrontarsi con l'essere immutabile di Dio. AI quale S.
Anselmo riconosce quella necessit�, il cui concetto era stato elaborato dalla
scolastica araba, a partire da Avicenna. La natura di Dio � tale, che non pu�
derivare n� da s� n� da altro; n� essa d� a se stessa una materia da cui venir
fuori, n� altro pu� darle tale materia. Essa � dunque originaria e necessaria.
Conseguentemente, le propriet� che si affermano della natura divina devono
essere predicate di essa quidditativamente, non qualitivamente: cio� come parti
o aspetti integranti dell'essenza divina, per nulla diverse da questa essenza.
Dio non pu� essere giusto o saggio, se non per s� e da s�; non certo per
partecipazione ad una giustizia o saggezza diversa da Lui. Meglio � quindi dire,
non che Dio � giusto, ma che � la giustizia; non che ha vita, ma che � la vita;
e analogamente che � la verit�, il bene, la grandezza, la bellezza, la
beatitudine, l'eternit�, la potenza, l�immutabilit�, l'unit� e in generale tutte
le qualit� che implicano eccellenza e perfezione in chi le possiede. D'altronde
tutte queste qualit� non possono sussistere nell'essenza divina come un
molteplice numerico. La natura divina esclude ogni composizione e non pu�
consistere di parti o di aspetti diversi. Le qualit� diverse che le si
attribuiscono, in quanto identiche ad essa, sono identiche fra loro; e cos� la
giustizia o la saggezza e ogni altra qualit� � la stessa essenza divina e chi
dice una di quelle, dice questa. Di qui deriva che l'essenza divina non �
sostanza, nel senso di essere il soggetto o sostegno delle sue qualit� o
accidenti. E' sostanza nel senso che sussiste per s� ed in s�; ma in questo
senso non pu� essere compresa sorto la categoria universale della sostanza, ma �
fuori e sopra di ogni concerto generico. L'unica determinazione che si pu�
attribuire all'essenza divina come sostanza � la spiritualit�; l'essere
spirituale � difatti pi� eccellente dell'essere corporeo e perci� l'unico che
sia proprio di Dio. Una tale sostanza � assolutamente al di sopra delle vicende
temporali. Nella vita divina, non c'� successione, ma tutto � presente in un
unico atto indivisibile. Essa � compiuta una volta per sempre nella sua totalit�
e non pu� subire accrescimenti o diminuzioni. La sua immutabilit� esclude infine
che in essa esistano caratteri accidentali, che come tali implicherebbero
mutevolezza. Possono in Dio sussistere tali caratteri, ma non analogamente a ci�
che �, per esempio il colore in un corpo; bens� solo come rapporti determinati,
puramente esteriori, come quando si dice che essa � maggiore di tutte le altre
mature. Solo in questi limiti la categoria dell'accidentale non contraddice alla
natura divina.
La creazione
Poich� Dio e l'essere e le cose sono solo per partecipazione all'essere, ogni
cosa deriva il suo essere da Dio. Tale derivazione � una creazione dal nulla. E
difatti, le cose create non possono derivare da una materia. Questa a sua volto
dovrebbe derivare da s�, il che � impossibile, o dalla nitura divina. In questo
caso, la natura divina sarebbe la materia delle cose mutevoli e soggiacerebbe
alla mutevolezza e alla corruzione di esse. Essa, che � il Sommo Bene, andrebbe
in esse soggetta a mutevolezza e o corruzione; ma il Bene Sommo non pu� cessare
di essere tale. La materia delle cose create non pu� essere n� da s� n� da Dio;
non c'� dunque una materia delle cose create. Non resta allora che ammettere che
esse sono create dal nulla.
Contro l'interpretazione (che si trova, per esempio, in Eriugena) che il �nulla�
da cui le cose derivano sia alcunch� di positivo, per esempio una causa
materiale o una realt� potenziale, Anselmo ha cura di aggiungere che esso non �
n� una materia n� altra cosa reale; e che l'espressione �creazione dal nulla�
significa soltanto che il mondo prima non c'era ed ora c'e. L'espressione
�creazione dal nulla,� � identica a quella che si adopera dicendo che , �si �
fatto dal nulla� un uomo che ora e ricco e potente e prima non lo era. Essa
indica il salto dal nulla a qualche cosa. Il mondo � stato, tuttavia,
razionalmente prodotto e niente pu� essere prodotto in tal modo senza supporre
nella ragione di chi produce un esemplare della cosa da prodursi, cio� una
forma, similitudine o regola di essa. Deve cio� esserci, nella mente divina, il
modello o l'idea della cosa prodotta, come nella mente dell'artefice umano c'�
il concetto dell'opera da prodursi: con la differenza che l'artefice ha bisogno
di una materia esterna per effettuare la sua opera e Dio no, e che il primo deve
ricavare dalle cose esterne il concetto stesso dell'opera; mentre Dio crea da s�
l'idea esemplare. Nell'uno e nell'altro caso, per�, l'idea dell'opera � una
specie di parola interiore; Dio si esprime nelle idee, come l'artefice nel suo
concetto: n� l'espressione � una parola esterna, una voce; � la cosa stessa,
alla quale si rivolge l'acume della mente creatrice.
La creazione dal nulla � appunto questa articolazione interiore della parola
divina. Senza l'attivit� creatrice di Dio, nulla � e nulla dura; Dio non solo
porta all'essere le cose, ma le conserva e le fa durare continuando la sua
azione creatrice. La creazione � continua. Da ci� segue che Dio � e deve essere
dappertutto; dove egli non �, nulla � e nulla sta in piedi. Questo non vuol
dire, certo, che egli sia condizionato dallo spazio e dal tempo. In lui non c'�
un alto n� un basso, n� un prima, n� un dopo; ma Egli � tutto in tutte le cose
esistenti e in ciascuna di esse e vive di una vita interminabile che � tutta
insieme (totum simut) presente e perfetta.
La libert�
La ricerca istituita da Anselmo nel Monologion e nel Proslogion mira a
comprendere Dio nella sua esistenza e nella sua essenza. Anselmo tenta di
tradurre con essa la certezza della fede in verit� filosofica; e con ci� di
offrire una via di accesso alla verit� rivelata, tale che l'uomo possa giungerle
il pi� vicino possibile. Ma parallelamente a questa ricerca, Anselmo ne conduce
un'altra, indirizzata all'uomo questa, e alle sue possibilit� di innalzarsi a
Dio. Il tema di questa ricerca � la libert�. Ad essa Anselmo ha dedicato due
opere; il De libero arbitrio e il De concordici praescentiae et
praedestinationis nec non et gratiae Dei cum libero arbitrio, composta,
quest'ultima, nel 1109, dopo il suo ritorno in Inghilterra. La libert� suppone,
in primo luogo, due condizioni negative: che la volont� sia libera dalla
costrizione di ogni causa esterna e che sia libera dalla necessit� naturale
interna, quale � l'istinto negli animali. La libert� � essenzialmente libert� di
scelta e la scelta manca dove c'� costrizione e necessit�. Posto ci� Anselmo
esclude che la libert� possa definirsi (come aveva fatto l'Eriugena) quale
possibilit� di scegliere tra il peccare e il non peccare. Se cos� fosse, n� Dio
n� gli angeli, che non possono peccare, sarebbero liberi. In ogni caso poi � pi�
libero chi non pu� perdere ci� che gli giova, di chi lo pu� perdere; ed � cos�
pi� libero chi non pu� allontanarsi dalla rettitudine del non peccare, di chi
pu� farlo. La capacit� di peccare non aumenta, ma diminuisce la libert�; perci�
non � parte o elemento della libert�. Il primo uomo ha ricevuto da Dio
originariamente la rettitudine della volont�, cio� la giustizia. Avrebbe potuto
e dovuto conservarla; ed a questo fine appunto gli tu data la libert�. La quale
dunque non e arbitrio di indifferenza, cio� volont� che si decide
indifferentemente tra il bene e il male; � la capacit� positiva di conservare la
giustizia originaria e di conservarla per la stessa giustizia, e non in vista di
un motivo estraneo. Questo potere in cui consiste la libert� non viene perduto
dall'uomo in nessun caso, e neppure con il peccato. Come chi non vede pi� un
oggetto, conserva la capacit� di vederlo perch� il non vederlo dipende dalla
lontananza dell'oggetto e non dalla perdita della vista; cos� la capacit� di
conservare la rettitudine della volont� permane nell'uomo anche attraverso il
peccato ed entra in azione appena Dio restituisce la rettitudine della volont�
all'uomo che l'ha perduta. Ora l'uomo pu� perderla solo per un atto della sua
volont� e mai per cause esterne. Dio stesso non pu� toglierla all'uomo. Poich�
essa consiste nel volere ci� che Dio vuole che si voglia, se Dio la togliesse
all'uomo, non vorrebbe che l'uomo volesse quello che Egli vuole che voglia.
Poich� questo � impensabile, Dio non pu� togliere all'uomo la volont� giusta;
l'uomo solo pu� perderla. Niente � dunque pi� libero della volont�. A ci� non
contraddice il detto biblico che l'uomo che pecca diventa �schiavo del peccato�.
Che diventi schiavo del peccato significa solo che perde la rettitudine della
volont� e che non ha la capacit� di riacquistarla, se non per dono gratuito di
Dio. La servit� del peccato � l'impotentia non pecccandi: l'uomo che ha perduto
la rettitudine della volont� non pu� non peccare, ma con ci� rimane libero,
perch� conserva la possibilit� di conservare quella rettitudine, se essa gli
viene ridata. Gi� risulta da questo che Anselmo, come S. Agostino, pone uno
stretto rapporto tra la libert� umana e la grazia divina. Non c'� dubbio che la
volont� vuole rettamente soltanto perch� � retta. Ma come la vista non � buona
perch� vede bene, ma vede bene perch� � buona, cos� la volont� non � retta
perch� vuole rettamente, ma vuole rettamente perch� � retta. Ci� vuol dire che
la volont� riceve la sua rettitudine, non da se stessa (dal momento che ogni suo
singolo atto retto la presuppone) ma dalla grazia divina. L'ultima condizione
della libert� umana � dunque la grazia divina. Come capacit� di conservare la
giustizia originaria, la libert� umana � condizionata dal possesso di questa
giustizia; e tale possesso pu� venirle solo da Dio.
L'anima
La dottrina di Anselmo sull'anima segue le orme di quella agostiniana, con
qualche sviluppo notevole per ci� che riguarda la dimostrazione
dell'immortalit�. L'uomo risulta composto di due nature, l'anima e il corpo; la
parte pi� alta, perch� pi� vicina alla somma essenza, � l'anima e precisamente
l'intelletto. E difatti solo attraverso l'intelletto si pu� conoscere e cercare
Dio e si pu� avvicinarsi a lui. L'anima � come uno specchio in cui si mira
l'immagine della Somma essenza, che non � possibile vedere faccia a faccia.
Anselmo segue qui S. Agostino: l'anima ricorda, intende ed ama se stessa; e in
ci� riproduce la Trinit� divina che � appunto Memoria, Intelligenza ed Amore.
Dalla natura dell'anima risulta segnato il suo destino. L'anima deve tendere ad
esprimere con atti di volont� l'immagine della Trinit� divina che � segnata in
essa naturalmente: deve quindi impegnare tutta la sua volont�, nel ricordare,
intendere ed amare il Sommo bene; tale � il fine della sua esistenza. Da questo
destino, deriva la sua immortalit�. Se l'anima � destinata ad amare senza fine
la somma essenza bisogna che essa viva sempre e che la morte non interrompa a un
certo punto, senza suo demerito, l'amore che deve a Dio, N� Dio potrebbe ridurre
al nulla una creatura che egli ha creata perch� lo amasse o permettere che sia
tolta alla creatura che l'ama la vita che egli le ha dato, quando essa non
ancora lo amava, affinch� potesse amarlo: tanto pi� che il Creatore ama ogni
creatura che veramente lo ama. E' poi evidente che una vita spesa nell'amore di
Dio non pu� essere che beata. All'anima dunque � assicurata, dal suo destino,
una vita eterna e beata. Ma l'immortalit� non riguarda soltanto l'anima che ama
Dio. Se per l'anima che ama Dio, l'immortalit� �, da parte di Dio, un dono
d'amore, per l'anima che disprezza Dio, l'immortalit� �, da parte di Dio, un
atto di giustizia. Sarebbe infatti ingiusto che l'anima che disprezza Dio fosse
punita con la perdita della vita e dello stesso suo essere, e con ci� non avesse
altra pena che il ritorno allo stato in cui si trovava prima di ogni colpa, cio�
prima di esistere. Anche l'anima ingiusta deve essere quindi immortale per
subire l'eterna pena, cos� come � immortale l'anima giusta per godere l'eterno
premio. Tutte le anime sono dunque immortali, sia le giuste sia le ingiuste:
anche quelle che non sono capaci n� di una cosa n� dell'altra, come le anime dei
bambini, devono esserlo perch� devono avere la stessa natura.
Sappiamo, dal biografo Eadmer, che Anselmo mor� mentre cercava ansiosamente di
chiarire la natura e l'origine dell'anima. Poco infatti ci dicono intorno a
questo problema le opere che egli ci ha lasciate. La speculazione di Anselmo
iniziatasi con Dio si concludeva con l'anima umana. Veramente Anselmo aveva
fatte sue le parole di S. Agostino: �Desidero conoscere Dio e l'anima; e
null'altro�.